Una società italiana ha sofferto un furto da parte di un suo dipendente, il quale si è appropriato per anno di somme di denaro. La società dopo aver scoperto gli atti di appropriazione indebita e ricostruito i fatti accaduti, ha fatto causa al dipendente. Nel 2015 è stata pronunciata una sentenza penale che ha condannato il dipendente a una previsionale (risarcimento) di € 400.000,00. La condotta del dipendente ha avuto un notevole impatto sul bilancio della società, in quanto egli aveva prodotto fatture e altri documenti contabili falsi, a fronte dei quali giustificava uscite di banca che in realtà si appropriava. Nella contabilità della società, nell’anno della scoperta del fatto, si è provveduto a stornare i costi legati a documenti falsi tramite note di accredito interne e provvedendo a regolarizzare l’imposta Iva mediante ravvedimento. Le uscite di banca, giustificate dalle fatture false, sono state indicate in una voce ad hoc “crediti verso dipendente”, e verosimilmente il valore indicato è pari a circa 400.000, molto vicino all’importo della provvisionale. La società a seguito della sentenza ha dato inizio al procedimento di esecuzione, per cercare di recuperare qualcosa. In caso non si riuscisse ad escutere l’intera posta creditoria o una parte del credito maturato, ci troveremo a rilevare una sopravvenienza passiva. Quesito: Questa sopravvenienza che fa seguito ad una sentenza che accerta il “furto” e dopo idonee azioni per recuperare il credito, è deducibile? Ciò anche tenendo conto della circostanza che vede la società come parte, nella sentenza è espressamente accertata la frode e gli artifizi del dipendente a danno della società, che ha subito un danno non derivante da propria negligenza. Sarebbero graditi cenni normativi e di giurisprudenza in merito. In attesa di una vostra risposta porgo i miei più cordiali saluti