I controlli incrociati sui clienti con il rinvenimento delle fatture che permettono di risalire al volume d’affari dell’azienda legittimano la condanna per l’imprenditore per il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili.
A sancirlo è la Cassazione con la sentenza 21062 del 28 maggio 2021 con cui ha rigettato il ricorso del titolare di una ditta individuale confermandone la condanna per i reati di cui all’art. 5 e 10 del d.lgs. 74/2000.
Col proprio ricorso l’uomo denunciava, tra l’altro, violazione del predetto art. 10 per mancanza degli elementi costitutivi del reato che, secondo il ricorrente, si perfezionerebbe solo nel momento in cui diventi impossibile ricostruire il volume d’affari. L’imputato, in tal senso, avrebbe, in sede di accertamento, esibito tutti i documenti contabili in suo possesso e consentito così la ricostruzione del reddito della ditta individuale.
Nel rigettare il ricorso la Cassazione ricorda che l’impossibilità di ricostruire il reddito o il volume d’affari derivante dalla distruzione o dall’occultamento di documenti contabili non deve essere intesa in senso assoluto, sussistendo anche quando è necessario procedere all’acquisizione della documentazione mancante presso terzi o aliunde (cfr. Cass. 7051/2019 e 39322/2019).
Il bene giuridico, oggetto di tutela penale, è l’interesse statale alla trasparenza fiscale del contribuente, in quanto la norma penale incriminatrice sanziona l’obbligo di non sottrarre all’accertamento le scritture e i documenti obbligatori. Ora, dalla sentenza impugnata risulta che il reddito è stato ricostruito attraverso controlli incrociati sui clienti dell’azienda per le prestazioni eseguite e non in base alla documentazione prodotta dall’imputato.
Solo in sede di giudizio abbreviato è stata prodotta documentazione relativa ai costi, ma non le fatture emesse dall’imputato.
La Corte d’appello ha fatto quindi corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di reati tributari, la fattura deve essere emessa in duplice esemplare di cui uno è consegnato alla parte (art. 21, comma quarto, dpr 633/1972). Si può, dunque, a canoni di logica, desumere dal rinvenimento di una fattura presso un terzo il fatto che di quel documento esista fisicamente una copia presso chi l’ha emessa. Ne consegue che non è manifestamente illogico desumere dal mancato rinvenimento di detta copia la conseguenza della sua distruzione ovvero del suo occultamento (cfr. in senso conforme Cass. 41683/2018).
Il collegio, pertanto, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di processo.