Legittima la misura cautelare del divieto di esercitare la professione per il consulente del lavoro che sia stato promotore e l’ideatore della frode fiscale del cliente, in questo caso rivestendo anche il ruolo di amministratore di fatto.
È quanto affermato dalla Corte di cassazione che, con la sentenza n. 27004 del 28 settembre 2020, ha respinto il ricorso di un professionista al quale era stato vietato di esercitare la professione per un anno.
La quinta sezione penale ha confermato la misura cautelare e l’intero impianto accusatorio del Tribunale delle libertà di Bari.
In realtà, ad avviso degli Ermellini, il nucleo dell'argomentazione del provvedimento impugnato è che il consulente, per quanto risulta dalle significative dichiarazioni dei titolari delle imprese, era stato, unitamente all'altro amministratore di fatto, l'ideatore del sistema finalizzato ad alimentare il meccanismo di evasione fiscale che l'aveva poi condotta al fallimento. Proprio la competenza professionale e il ruolo promozionale assunto dall’uomo, fuori dalle lecite competenze del consulente del lavoro, presso le società destinate a diventare committenti, nella consapevolezza della reale struttura della società cliente, che pure egli seguiva come consulente, rendono palese che il disegno elaborato - si ripete, estraneo, ai meri compiti professionali di un consulente del lavoro - era non solo noto, ma da ricondurre, proprio per le specifiche competenze tecniche, alla sua ideazione.
In tema di reati tributari è prevista un’aggravante specifica per i professasti ideatori delle frodi fiscali.
Secondo la giurisprudenza, è responsabile a titolo di concorso il consulente fiscale per la violazione tributaria commessa dal cliente (nella specie, per il delitto di indebita compensazione), quando il primo sia l'ispiratore della frode, e anche se solo il cliente abbia beneficiato dell'operazione fiscalmente illecita.
Ai fini della configurabilità dell'aggravante, nel caso in cui reato è commesso dal concorrente nell'esercizio dell'attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l'elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale (articolo 13 bis, comma terzo, Dlgs. n. 74/00) è richiesta una particolare modalità della condotta, ovverosia la “serialità” che, se pur non prevista espressamente nell'articolo, è desumibile dalla locuzione “elaborazione o commercializzazione di modelli di evasione”, rappresentativa di una certa abitualità e ripetitività della condotta incriminata (cfr. Cass. 1999/2018).