In caso di accertamento induttivo puro l’amministrazione finanziaria deve considerare anche i costi relativi ai maggiori ricavi contestati nell’atto impositivo.
Inoltre l’indicazione erronea dell’attività esercitata e della cessazione della stessa nella motivazione dell’accertamento non ne inficia la validità rappresentando errori ininfluenti in quanto la rettifica si era basata sulla media dei ricavi dichiarati dal contribuente negli anni precedenti.
È quanto affermato dalla Cassazione che, con l’ordinanza n. 13119 del 30 giugno 2020, ha accolto il ricorso del contribuente.
Accolta dunque la richiesta del contribuente di riconoscimento dei costi a seguito di accertamento induttivo per omessa presentazione della dichiarazione.
Secondo la Ctr Basilicata, invece, il reddito accertato non era suscettibile di riduzione o riconoscimento dei costi in quanto, non avendo il contribuente fornito la documentazione richiesta dall’ufficio, era stata preclusa ogni possibilità di controllo del reddito conseguito.
Nell’accogliere il ricorso la Cassazione ha ricordato un consolidato orientamento secondo cui in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, l’amministrazione finanziaria, i cui poteri trovano fondamento non già nell'art. 38 (accertamento sintetico) o nell'art. 39 (accertamento induttivo), bensì nell'art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973 (cd. accertamento d'ufficio), può ricorrere a presunzioni cd. supersemplici, anche prive, cioé, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, ma deve, comunque, determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva, senza che possano operare le limitazioni previste dall'art. 75 (ora 109) del d.P.R. n. 917 del 1986 in tema di accertamento dei costi, disciplinando tale norma la diversa ipotesi in cui una dichiarazione dei redditi, ancorché infedele, sia comunque sussistente (cfr. Cass. 26748/2018, 19191/2019 nonché Corte costituzionale 225 del 2005). Va, infatti, applicata l'imposta sull'utile netto, ossia portando in deduzione i costi non registrati, sia pure forfettariamente stabiliti.
Ora la determinazione dei costi dovrà essere effettuata dalla Ctr Basilicata cui la controversia è stata rinviata.
Rigettata invece l’altra doglianza relativa al presunto errore commesso dall’Ufficio nella motivazione dell’atto. L’errata indicazione dell’attività esercitata non aveva avuto incidenza nella determinazione induttiva del reddito che era stato calcolato sulla base dei ricavi conseguiti nel triennio precedente ai quali era stata applicata la percentuale di redditività del 20% in linea con quella tipica del settore di attività concretamente esercitato, come ammesso dal contribuente.