È legittimo l’accertamento induttivo di fronte al saldo negativo di cassa, che da solo fa presumere ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo, fino a prova contraria del contribuente.
Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza 32812 del 13 dicembre 2019 con cui ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate.
Ribaltati dunque gli esiti dei gradi di merito.
Col ricorso in Cassazione l’Agenzia delle entrate denunciava, tra l’altro, l’errore della Ctr nel non aver ritenuto un elemento sufficiente per l’accertamento induttivo il ritrovamento di saldi negativi del conto cassa.
Nell’accogliere il ricorso la Cassazione ricorda che sia la dottrina ragionieristica che la giurisprudenza sono concordi nel ritenere che quando si chiude un conto di cassa in rosso le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti. E dunque non si può fare a meno di ravvisare senza alcuna forzatura l’esistenza di altri ricavi non registrati (cfr. Cass. 24509/2009 e 27041/2017)
La pronuncia in commento si inserisce nel solco di un orientamento della giurisprudenza di legittimità, inaugurato nel 2001, ed ormai granitico. Con la sentenza n. 6166 del 2001 la Corte di Cassazione, infatti, ha ritenuto legittimo, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 600 del 1973, l’accertamento dell’Ufficio basato sull’anomala movimentazione del conto cassa, in quanto fondato su elementi gravi, precisi e concordanti, a fronte dei quali il contribuente non era riuscito a fornire prova contraria.
Significativa è anche la sentenza n. 27585 del 2008 con cui, ancor più esplicitamente i giudici di legittimità precisavano che “…poiché la chiusura in rosso di un conto di cassa significa, senza possibilità di dubbio, che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, non si può fare a meno di ravvisare, senza alcuna forzatura logica, l’esistenza di altri ricavi, non registrati, in misura almeno pari al disavanzo” (sul punto si veda anche Cass., sent. n. 17004 del 2012). Si tratta di una presunzione che nasce sostanzialmente da una massima d’esperienza (id quod plerumque accidit) per cui non è possibile effettuare pagamenti o comunque esborsi senza avere la relativa provvista a meno che l’imprenditore non dimostri una dimenticanza nelle registrazioni contabili ovvero la provenienza non reddituale delle somme utilizzate.
In merito al profilo del riparto dell’onere probatorio, tale principio implica che l’Amministrazione Finanziaria non é tenuta “a fornire prova ulteriore per dimostrare il rapporto tra la movimentazione del conto cassa e gli ulteriori ricavi accertati. Com’è noto, in questi casi, l’onere della prova s’inverte dovendo la società contribuente offrire prove contrarie mercé la dimostrazione di ulteriori componenti positivi del reddito (es. a titolo di prestiti e/o conferimenti, corrispondenti al suddetto saldo di cassa e di provenienza diversa rispetto ai ricavi contabilizzati), ovvero dimostrare errori di scritturazione e/o problemi d’impostazione contabile” (cfr. ex multis Cass. sent. n. 17004 del 2012 e n. 11988 del 2011).