In materia di società di comodo ed ai fini dell’esclusione dalla relativa disciplina, non basta esercitare un’attività economica e produrre dei ricavi, se questi si mantengono al di sotto dell’importo presuntivamente determinato.
Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza 29762 del 15 novembre 2019 con cui ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate.
Il contenzioso ha avuto origine dalla rettifica della perdita dichiarata dalla società - esercente attività di ristorazione, ritenuta marginale rispetto ai beni patrimoniali posseduti - con la quale, sul presupposto della ricorrenza di una società c.d. di comodo, era stato determinato, ex art. 30, comma 3, l. 724/1994, un maggior reddito di impresa con imputazione pro quota ai soci.
La Ctr Piemonte ha ritenuto inapplicabile la disciplina indicata, in quanto la società svolgeva effettivamente un'attività imprenditoriale, anche se non raggiungeva il livello di ricavi preteso.
Il verdetto è stato ribaltato in Cassazione secondo cui le non operative sono quelle società che, salvo prova contraria, conseguono un ammontare di ricavi inferiore alla somma degli importi risultanti dall'applicazione dei coefficienti stabiliti dalla medesima disposizione.
Tale prova consiste nella dimostrazione di situazioni specifiche ed indipendenti dalla volontà dell'imprenditore, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto (Sez. 5, n. 21358/2015), e non già, come affermato dalla Ctr, del mero esercizio di un’attività di impresa.
Su quest’ultimo punto si ricorda che i parametri previsti dall’art. 30 della legge n. 724 del 1994, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006, convertito nella legge n. 248 del 2006, sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società, spettando, poi, al contribuente fornire la prova contraria e dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive (e straordinarie), specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano reso impossibile il conseguimento di ricavi.
Secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 5080/2017 e 4019/2018) la nozione di “impossibilità” di cui alla disposizione in esame va intesa non in termini assoluti quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo elle effettive condizioni del mercato.