La società semplice non ha diritto alle agevolazioni Ici sulla prima casa adibita ad abitazione dei soci. Si tratta infatti di soggetti diversi e alla società non sono estensibili le norme agevolative dettate chiaramente per un soggetto persona fisica.
Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 23679 del 24 settembre 2019, ha accolto il ricorso di un Comune.
La vicenda riguarda un piccola impresa che aveva acquistato degli immobili poi abitati dai soci. Con avviso di accertamento il Comune disconosceva l’esenzione Ici per tre immobili in quanto occupati dai soci e dalle loro famiglie. L’atto era stato impugnato senza successo di fronte alla Ctp. Poi, in secondo grado i giudici avevano ribaltato il verdetto annullando l’accertamento.
Col proprio ricorso in Cassazione il Comune denunciava violazione di legge ritenendo che soggetto passivo dell’imposta fosse la società semplice e non i singoli soci. Alla società semplice non è applicabile il concetto di abitazione principale (alla base dell’esenzione) o residenza anagrafica, termini riferibili alle persone fisiche e non alle società.
Nell’accogliere il ricorso la Cassazione ricorda innanzitutto che l'art. 2247 c.c. stabilisce che con il contratto di società due o più persone conferiscono beni e servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica allo scopo di dividerne gli utili. Nelle società semplici, laddove lo scopo perseguito è di mero godimento, il contratto sociale difetta del requisito di economicità previsto dalla norma, pertanto, secondo l'indirizzo prevalente sostenuto dalla dottrina, non sarebbe applicabile la disciplina di diritto societario, ma quella in materia di comunione. Ne consegue che nel caso di attività di mero godimento, non le norme del diritto societario si renderebbero applicabili, ma quelle della comunione: nella comunione il bene comune forma oggetto di godimento, il quale rappresenta il fine della comunione, mentre nella società il godimento è il mezzo per l'esercizio dell'attività di impresa. Inoltre, spiega ancora il Supremo Collegio, le società semplici di godimento hanno come oggetto sociale il semplice godimento dei beni mobili e immobili di cui la società stessa ne sia divenuta titolare. L'attività di mero godimento è senza dubbio un'attività economica, ma non è finalizzata a produrre ricchezza. Deve evidenziarsi, pertanto, una differenza tra la società il cui fine è lo svolgimento di una attività produttiva e la comunione ove l'attività svolta è funzionale principalmente alla conservazione del bene comune, per assicurarne il godimento da parte dei comproprietari; sicchè ragionevolmente si deve ritenere che all'attività di mero godimento non si dovrebbero applicare le norme sul diritto societario, bensì quelle sulla comunione.
Ma per verificare l’applicabilità dell’agevolazione la Corte indaga in ordine ai presupposti dell’Ici che sono chiaramente improntati e presuppongono che il soggetto passivo sia una persona fisica.
Nel caso di specie i soci della società avevano dimostrato di avere la residenza anagrafica presso gli immobili in questione nonché di dimorarvi abitualmente. Solo che i beni sono intestati alla società e ciascuno dei soci è titolare di una quota ideale pari al 25% degli immobili.
Secondo la Cassazione l’agevolazione non è quindi applicabile dato l’obbligo di stretta interpretazione delle norme di esenzione. La società semplice, infatti, è un soggetto giuridico diverso dai soci mentre il beneficio è appannaggio esclusivo di persone fisiche proprietarie degli immobili o di diritti reali sugli stessi. I soci sono titolari di una quota ideale dei beni ma non sono titolari di diritti reali sugli stessi.