La Corte di Cassazione, con la sentenza 2256 depositata il 18.01.2017, ha affermato che ai fini della punibilità per dichiarazione infedele vanno computate anche le ritenute dovute ma non versate dal sostituto d’imposta, questo perché per “imposta evasa” deve intendersi la differenza tra “l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta..prima della presentazione della dichiarazione”.
Nel caso di specie, un commercialista emetteva una fattura di ingente importo non indicandola in dichiarazione. A ciò va aggiunto che il sostituto d’imposta non versò le ritenute relative a tale fattura.
Nel contestare il reato di infedele dichiarazione, che si configura se l’imposta evasa è superiore a 150.000 euro, è stato sostenuto che deve computarsi nell’imposta evasa anche quella non versata ma trattenuta dal sostituto.
Di parere opposto il contribuente, che sostiene che l’effettuazione della ritenuta solleva il commercialista da altre obbligazioni, considerando che il suo patrimonio subisce un decremento, a nulla valendo il mancato versamento del sostituto.
La Suprema Corte non ha accolto la tesi del contribuente, sostenendo invece che ai fini della punibilità per dichiarazione infedele vanno computate anche le ritenute dovute ma non versate dal sostituto d’imposta