Si considera attività commerciale la somministrazione di cibo e bevande a tutti in un circolo. Non rileva infatti che il locale non è visibile dalla strada e che si accede solo suonando il campanello quando l'accesso non è impedito ai non iscritti.
Lo ha ricordato la Cassazione con ordinanza 25416 del 23 settembre 2024, con cui ha respinto il ricorso di un circolo che aveva impugnato l'avviso di accertamento che aveva qualificato come commerciale l'attività di somministrazione di alimenti svolta all'interno della struttura.
Secondo la Ctr l’attività di somministrazione a pagamento di cibo e bevande non avveniva a titolo solidaristico e gratuito, ma era, invece, praticata a prezzi di poco inferiori a quelli di mercato, con la conseguenza che non poteva essere ritenuta attività rientrante nelle attività assistenziali perseguite dal circolo. Né era stato dimostrato che l'accesso al bar fosse esclusivamente riservato agli associati.
La controversia è così giunta in Cassazione dove il circolo ha contestato la decisione sostenendo che la presenza di sette non soci al momento dell'ingresso degli accertatori non costituiva un afflusso di persone incontrollato che giustificasse l'accertamento.
La Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha ricordato che l'attività di gestione di un bar da parte di un ente non lucrativo può essere qualificata come non commerciale, ai fini dell'imposta sul valore aggiunto e di quella sui redditi, solo se l'attività sia strumentale rispetto ai fini istituzionali dell'ente e sia svolta esclusivamente in favore degli associati. L'esenzione d'imposta dipende, infatti, non solo dall'elemento formale della veste giuridica assunta, ma anche dall'effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sul contribuente e non può ritenersi soddisfatto dal dato, del tutto estrinseco e neutrale, dell'affiliazione al Coni.
Ne consegue che solo le prestazioni e i servizi che realizzano le finalità istituzionali, senza specifica organizzazione e verso il pagamento di corrispettivi che non eccedano i costi di diretta imputazione, non vanno considerate come compiute nell'esercizio di attività commerciale e, quindi, come non imponibili, mentre ogni altra attività espletata dagli stessi soggetti si reputa rientrare nel regime impositivo.
Sul punto esiste una giurisprudenza maggioritaria secondo cui va considerata sempre commerciale l'attività di bar con somministrazione di bevande verso pagamento di corrispettivi specifici, svolta da un circolo culturale, anche se effettuata ai propri associati non rientrando in alcun modo tra le finalità istituzionali di un circolo (cfr. Cass. 15475/2018). Solo una giurisprudenza minoritaria della Suprema Corte ha annullato l’imposizione derivante da accertamenti relativi alla gestione di “bar interni” a circoli culturali o associazioni sportive.
Tra questi isolati responsi si cita la sent. 20 settembre 2005, n. 18560, della Cassazione; in tale occasione il giudice di legittimità riteneva che per i circoli con finalità culturali, ricreative, sportive o assistenziali, la gestione di un bar dovesse essere considerata esclusa da imposizione se complementare e accessoria all’attività istituzionale, ovvero strumentale alla migliore permanenza dei soci presso il circolo stesso.