La prova della esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, detenuti in maniera occulta in Paesi c.d. “black list”, può essere fornita non solo mediante la presunzione legale ex articolo 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n. 102 (non applicabile ratione temporum alla fattispecie), ma anche per mezzo di presunzioni semplici, ancorché basate su un unico elemento purché grave e preciso. Il raddoppio dei termini opera sia nel caso in cui l'Ufficio, avvalendosi della presunzione legale stabilita dalla citata norma, accerti che la disponibilità finanziaria detenuta nei "paradisi fiscali", e non dichiarata, è provento di redditi sottratti a tassazione, sia nel caso, equivalente, in cui l'Ufficio, senza ricorrere alla presunzione in oggetto in quanto non applicabile retroattivamente, contesti comunque la medesima fattispecie di sottrazione avvalendosi di presunzioni semplici, qualificate dalla gravità, precisione e concordanza.
Lo ha stabilito la Cassazione con sentenza 35840 del 6 dicembre 2022 con cui ha rigettato la teoria di un contribuente.