Il provvedimento di sospensione del pagamento (c.d. fermo amministrativo), previsto dall'art. 69 del r.d. n. 2440 del 1923, è espressione del potere di autotutela della P.A. a salvaguardia dell'eventuale compensazione legale dell'altrui credito con quello, anche se attualmente illiquido, che l'amministrazione abbia (o pretenda di avere) nei confronti del suo creditore e, avendo portata generale, in quanto mira a garantire la certezza dei rapporti patrimoniali con lo Stato mediante la concorrente estinzione delle poste reciproche (attive e passive), può essere legittimamente applicato anche ai rimborsi IVA, fino al sopraggiungere dell'eventuale giudicato negativo circa la concorrente ragione di credito vantata dall'erario.
Di conseguenza presupposto normativo di applicabilità del fermo non è la prova dell'esistenza del credito bensì la mera ragione di credito, la quale può derivare anche da un PVC, non dovendosi necessariamente fondare sull'adozione dei conseguenti (eventuali) avvisi di accertamento.
Inoltre non viene meno il provvedimento di sospensione in esame in ragione dell'annullamento, all'esito di diverso processo, del provvedimento impositivo sottostante (a cautela del quale era stato emesso il fermo) in forza di sentenza non ancora passata in giudicato.
Lo ha stabilito la Cassazione con sentenza 4038 del 12 febbraio con cui ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate.