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L’evoluzione della Giurisprudenza 17/10/2018

Omessa versamento Iva: per la soglia di punibilità non vanno conteggiati gli interessi

Omessa versamento Iva: per la soglia di punibilità non vanno conteggiati gli interessi

Ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettera f) del d.lgs n. 74 del 2000 per valutare il superamento della soglia di punibilità di € 250.000,00, per il reato di omesso versamento Iva di cui all'art. 10 ter, d.lgs. 74 del 2000, deve tenersi conto solo ed esclusivamente dell'Iva evasa e non anche degli interessi dovuti per il versamento trimestrale.

Lo ha stabilito la Cassazione con sentenza n. 46953 del 16 ottobre con cui ha annullato definitivamente la condanna nei confronti di un imprenditore con la formula assolutoria più ampia ovvero perché il fatto non sussiste.

Nel caso di specie l’imposta omessa era di 248 mila euro circa, quindi al di sotto della nuova soglia di punibilità fissata dall’art. 8 del d.lgs. 158/2015. Secondo l’art. 1, comma 1, lett. f) del d.lgs. 74/2000 “per "imposta evasa" si intende la differenza tra l'imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero l'intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine”.

Deve concludersi, secondo la Cassazione, che vanno detratti gli interessi previsti per il versamento trimestrale, conteggiati in un rigo a parte della dichiarazione e pari a 2.483 euro. La sentenza di condanna della Corte d’appello di Milano aveva erroneamente considerato il rigo VL38 pari a 250.808 euro, somma comprensiva di imposta e interessi, mentre la sola imposta omessa ammontava a 248.305 euro, quindi sotto la soglia di rilevanza penale.

Quanto alla formula assolutoria si ricorda che, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 3098/2016) la soglia di punibilità deve essere considerata tra gli elementi costitutivi del reato.

Le "soglie" non possono essere inquadrate tra le condizioni di punibilità, neppure cd. intrinseche, consistendo queste ultime in eventi che rendono attuale l'offesa all'interesse protetto dalla norma violata o che costituiscono una progressione o un aggravamento di tale offesa, con la conseguenza che tali eventi, concorrendo a delineare il disvalore penale del fatto, sono in realtà elementi costitutivi del reato, cosicché devono essere necessariamente coperti dal dolo o, secondo i casi, dalla colpa dell'agente.

In definitiva, la soglia di punibilità si traduce nella fissazione di una quota di rilevanza quantitativa e/o qualitativa del fatto, con la conseguenza che, alla mancata integrazione della soglia, corrisponde la convinzione del legislatore circa l'assenza nella condotta incriminata di una "sensibilità" penalistica del fatto, sicché il comportamento sotto soglia è ritenuto non lesivo del bene giuridico tutelato, consistente, nel caso in esame, nella salvaguardia degli interessi patrimoniali dello Stato connessi alla percezione dei tributi

Le Sezioni Unite penali affermato che nel caso in cui manchi un elemento costitutivo, di natura oggettiva, del reato contestato, l'assoluzione dell'imputato va deliberata con la formula "il fatto non sussiste", non con quella "il fatto non è previsto dalla legge come reato", che riguarda la diversa ipotesi in cui manchi una qualsiasi norma penale cui ricondurre il fatto imputato (SS.UU. 37954/2011).

Sull’applicabilità della nuova soglia di rilevanza penale anche a fatti antecedenti alla sua entrata in vigore, si fa presente che la modifica dell'art. 10 bis d.lgs. n. 74 del 2000 ad opera dell'art, 7, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 158 del 2015, che ha escluso la rilevanza penale dell'omesso versamento di ritenute dovute o certificate sino all'ammontare di 150mila euro ha determinato una "abolitio criminis" parziale con riferimento alle condotte aventi ad oggetto somme pari o inferiori a detto importo, commesse in epoca antecedente, pienamente applicabile all'analoga modifica effettuata dal medesimo d. lgs. all'art. 10 ter che ha escluso la configurabilità del reato per gli omessi versamenti dell'acconto relativo all'imposta sul valore aggiunto inferiori alla soglia di 250mila euro per ciascun periodo di imposta.

Le nuove soglie di punibilità previste per i reati di omesso versamento delle ritenute e dell’Iva hanno quindi ristretto l’ambito applicativo dei suddetti reati: trova quindi applicazione il principio del favor rei e per l'effetto l'art. 2, comma 2 c.p. secondo il quale nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce più reato e se vi è stata condanna ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali (cfr. da ultimo Cass. 10810/2018).

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